Proprio qualche giorno fa è stato reso noto che il tema della prossima edizione di Identità Golose sarà il senso di responsabilità. L’articolo di Paolo Marchi, ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose, è per molti aspetti interessante e condivisibile.
Prendo spunto dall’invito che rivolge agli operatori del settore (e in generale ai consumatori) a smetterla di giustificare tutto fingendo che il mondo non sia in sofferenza, negare disparità economiche e sociali, la corsa ai prezzi più bassi, ecc.
Oltre che interrogarsi sui grandi problemi che affliggono il mondo, auspico che il tema della responsabilità possa essere il pretesto per denunciare alcuni degli aspetti che rendono complicato il lavoro nel nostro paese. Il politically correct vigente è divenuto un atteggiamento pericoloso che ci ha reso tutti più superficiali e noncuranti delle cose che accadono.
Metterò quindi un po’ di carne al fuoco con alcune personali opinioni sperando di poter ricevere qualche conferma o smentita. L’importante è sforzarsi di uscire dall’isolamento (o dalla troppa attenzione alla mondanità) e iniziare a parlare di cose serie.
La responsabilità nella scelta dei prodotti
Un pesce molto amato: il tonno rosso del Mediterraneo
Il tonno è, tra i pesci, quello che mi è più familiare. Grazie all’insegnamento dei cuochi giapponesi che hanno guidato gli anni del mio apprendistato, ho avuto modo di perfezionarmi nella preparazione del tonno (quindi nella pulizia e nel sezionamento) e di mettere a punto ricette e tecniche di cottura.
Dopo aver utilizzato in passato questo pesce per un periodo abbastanza lungo, ho scelto ad un certo momento di non acquistarlo più. In Italia il tonno rosso è stato per anni oggetto di una pesca indiscriminata che ho deciso di non alimentare.
Di fatto persiste ancora un mercato illegale del tonno rosso di cui alcuni miei colleghi approfittano per via dei prezzi vantaggiosi (a fronte di una qualità non sempre elevata).
Un nuovo approccio alla pesca
Recentemente alcuni pescatori hanno cominciato ad avere verso il tonno rosso del Mediterraneo un approccio diverso. Stanno adottando un tipo di pesca più responsabile con risultati di prodotto qualitativamente interessanti. Utilizzano tecniche di abbattimento del pesce mediate dalla tradizione giapponese come l’ikejime (che porta alla rapida morte del pesce per via cerebrale) per ottenere un elevato standard di qualità delle carni.
Non entro nel merito dell’esecuzione e della correttezza di tecniche che appartengono alla tradizione giapponese, ma ritengo importante sottolineare la “direzione etica” intrapresa da questi pescatori. Sforzandosi di trattare il tonno nel modo migliore possibile, sono senza dubbio mossi da una sensibilità nuova.
Il tonno rosso è solo un esempio per riflettere su come le scelte individuali possano fare la differenza in termini di tutela ambientale, sostenibilità e qualità nutrizionale.
Riflettiamo sulla sostenibilità della filiera e sul “peso mediatico” delle nostre scelte
Dovremmo avere tutti un’attenzione particolare quando scegliamo un prodotto, con un approccio critico su tutta la filiera, per fare in modo che la responsabilità individuale diventi coscienza collettiva. Quando si ha l’onere di gestire un’attività in proprio capita di illudersi che risparmiando sulla materia prima si possa far rientrare il bilancio. In realtà spesso il basso prezzo è da attribuire alla mancanza di sostenibilità ambientale, al maltrattamento degli animali, alla violazione dei diritti dei lavoratori, ecc.
Tra i cuochi, quelli che hanno una maggiore visibilità mediatica, dovrebbero sentirsi ancora più responsabili nelle loro scelte. Queste dovrebbero tendere all’utilizzo di prodotti non soltanto ottimi dal punto di vista organolettico ma soprattutto in linea con i principi etici che sono alla base del senso di responsabilità. Spesso i followers agiscono per imitazione cercando di replicare ricette che richiedono gli stessi ingredienti utilizzati dai loro beniamini. Il risultato può essere quello di alimentare una domanda importante di prodotti esclusivi che sarebbero limitati per definizione (con la felicità del mercato clandestino che provvede per il mancante).
Assumersi la responsabilità delle scelte più “scomode”
Al contrario, interrompere la filiera di un prodotto non sostenibile, potrebbe essere piuttosto semplice. Tornando al tonno rosso, ad esempio, basterebbe smettere di comprarlo al mercato nero. Chi trae vantaggi economici con la pesca illegale dovrebbe trovare in breve tempo un’altra occupazione. Questo probabilmente gioverebbe a tutti: ecosistema, comparto della pesca, ristorazione e consumatori.
In generale, non si può pensare che un prodotto pregiato, venduto ad un prezzo modico, possa essere buono dal punto di vista nutrizionale e al tempo stesso prodotto nella legalità.
Del resto, avrete notato che quando in cucina si lavorano prodotti costosi (e con un valore organolettico reale), si tende spesso a trattarli con maggior dignità e rispetto.

Svolgiamo il lavoro con responsabilità ma nella libertà di fare le cose
Un aspetto che mi sta altrettanto a cuore è quello di riappropriarsi della libertà di fare le cose. Questo vale sia nella sfera privata sia in quella del lavoro. Lo considero un valore assoluto, vitale per ogni essere umano.
Chi gestisce un’attività in proprio si sarà sentito più volte come me con le spalle al muro, stretto tra rigorose normative da osservare ed adempimenti di ogni genere.
La rabbia spesso lascia il posto ad una senso di frustrazione (unito alla rassegnazione) per le cose che non cambiano e che il legislatore peggiora ad ogni cambio di governo.
Un paese di divieti e di norme non può avere futuro poiché priva gli individui della libertà, stroncando sul nascere i progetti e i sogni delle giovani generazioni.
Quando le persone agiscono nella legalità, dando un contributo alla ricchezza di un paese e alla società in generale, dovrebbero essere lasciate libere di agire nell’iniziativa privata. Penso ad esempio alla libertà di accordarsi con i propri collaboratori su mansioni ed orari di lavoro. In un settore come quello della ristorazione (ma non solo), risulta difficile adeguare le esigenze dell’attività con ciò che è previsto dalla normativa del lavoro. Ecco allora che anche per esigenze organizzative, oltre che di gestione economica, ci si indirizza sempre più spesso verso l’acquisto di prodotti semilavorati.
Quando già pulito è meglio!
Nel caso del tonno, per esempio, si finisce per utilizzarne solo il filetto (già pulito) che ha bisogno di scarse competenze e poco tempo per la preparazione. In questo modo però si sacrifica una parte (consistente) del pesce, rilevante dal punto di vista nutrizionale. Penso a parti come coda, testa, guancia, i muscoli della fronte ecc. Questo ovviamente vale anche per le carni (quinto quarto, frattaglie, ecc).
Non vorrei essere frainteso, ci sono ottimi prodotti in commercio che aiutano molto i cuochi in cucina e che ormai sono ampiamente conosciuti ed utilizzati. Bisognerebbe però che ci fossero le condizioni per decidere anche una proposta più articolata, qualora vi fosse il desiderio o la necessità. Preservare tecniche e preparazioni classiche della cucina è importante a vantaggio di una proposta gastronomica variegata e generosa dal punto di vista nutrizionale.

Il paradosso della caccia: da attività consentita al commercio negato della cacciagione
Il nostro lavoro necessita anzitutto di prodotto. Anche una casalinga sa cosa comporti provvedere alla spesa tutti i giorni variando il più possibile le materie prime (e magari con budget limitati).
Allora responsabilità forse vuol dire anche sfruttare meglio ciò che si ha a disposizione e che viene poco o nulla preso in considerazione. In un momento in cui si pensa addirittura agli insetti, la mia provocazione è: che fine ha fatto la cacciagione?
Foto a cura del Sig. Bonazza Andrea di Codigoro
Nella regolamentazione della caccia manca un anello che è quello di rendere disponibile il frutto della caccia alle attività di trasformazione come ristoranti, macellerie, rosticcerie, ecc.
Il cacciatore può cacciare rispettando le regole (solo le specie consentite, nei periodi e nelle quantità autorizzate, ecc) poi però non può vendere il frutto della sua attività. Tra i ristoratori c’è chi si prende il rischio di acquistare un prodotto cacciato senza tracciabilità, documentazione fiscale, né certificazione sanitaria. In questo caso però non mi sento di giudicare il ristoratore perché fa di necessità virtù: acquista animali già abbattuti che altrimenti verrebbero buttati.
I ristoratori che acquistano cacciagione al di fuori dei canali ufficiali non lo fanno tanto per speculazione economica, quanto per tenere vive tradizioni, ricette e preparazioni.
Riappropriamoci della nostra selvaggina
Attraverso i canali autorizzati si acquistano animali cacciati in paesi fuori dall’Unione Europea dove il senso di responsabilità di chi caccia è tutto da dimostrare. È successo anche con il tonno per vent’anni: quello dell’Oceano Indiano si poteva consumare in Europa mentre quello del Mediterraneo no. Ritengo sia lecito chiedere una normativa chiara per poter utilizzare in maniera legale i prodotti della caccia italiana all’interno delle attività di ristorazione. Ha senso sia per la sostenibilità che per la valenza gastronomica intrinseca.
La selvaggina da pelo, da piuma e da penna dal punto di vista nutrizionale ha infatti delle ottime caratteristiche. Sono carni ricche di ferro, minerali e vitamine e povere di grassi (soprattutto di quelli saturi).
Rappresentano quindi una valida alternativa ad un’alimentazione che dal punto di vista nutrizionale è spesso standardizzata, poco variegata e carente se parliamo di proteine.
Fermentazione e sostenibilità
Due realtà a confronto: i paesi nordici e l’Italia
A proposito di responsabilità penso all’influenza che i ristoranti nordici stanno esercitando nell’Alta Cucina. È indubbio che il contributo del Noma sulla fermentazione degli alimenti (in particolar modo dei vegetali) abbia radunato a sé non pochi seguaci ed ammiratori anche tra i ristoratori d’Italia.
Del resto, i prodotti fermentati nella cucina mediterranea sono ancora oggi eccellenze gastronomiche. Pensiamo all’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena o di Reggio Emilia, i capperi sotto sale, le olive in salamoia, le acciughe, la colatura di alici ecc. Si tratta di prodotti (con una storia antichissima alle spalle) che attraverso fermentazioni di diverso tipo raggiungono livelli qualitativi e nutrizionali di eccellenza. In origine sono stati pensati per evitare che il frutto del lavoro dell’uomo andasse buttato.
Quello che oggi viene fatto, pur prendendo spunto da tecniche tradizionali, è favorire la fermentazione di prodotti che non avrebbero per loro natura una grande longevità.
La fermentazione indotta in questi casi è difficile da controllare e, quando diventa eccessiva, deve essere fermata con la refrigerazione che ovviamente richiede molto consumo di energia. Mi chiedo (e vi chiedo) se ha senso fermentare prugne o asparagi per poi doverli conservare in frigorifero o in congelatore.
I produttori di aceto balsamico non hanno di certo questa problematica. Possono permettersi di maturare il loro aceto anche per più di 50 anni senza sprecare energia, come anche chi produce i capperi o le olive con i metodi antichi.
Ammiro l’intraprendenza dello chef René Redzepi nel mettere in ogni ricetta del suo ristorante un prodotto fermentato come le prugne o l’uva spina. Noi italiani per dare carattere ai nostri piatti ci “accontentiamo” invece di usare degli squisiti capperi di Pantelleria o delle buonissime alici sotto sale di Mazara del Vallo.
Aprirsi alle esperienze degli altri è una forma di intelligenza, a patto però che non si metta da parte lo spirito critico e la capacità di farsi domande.
La mia idea sui prodotti agricoli
Nonostante i prodotti agricoli rappresentino una componente importante della dieta mediterranea (e della cucina italiana in particolare), non mi sento di elogiarne le qualità. L’agricoltura in Italia negli ultimi anni ha sofferto di una concentrazione di gruppi economici che hanno monopolizzato il mercato. Chi vuole fare qualità, spesso trova difficoltà ad inserirsi sul mercato. Questo succede non tanto per il costo finale dei prodotti, quanto per carenze nella logistica, nonostante il nostro sia un paese piccolo. Non chiedetemi poi di difendere il terroir a tutti i costi. Preferisco non sentirmi obbligato a comprare ciò che produce il vicino di casa (che magari utilizza pesticidi e diserbanti in quantità industriale). Kilometro zero non è garanzia di sostenibilità e non sempre prossimità significa qualità.

Purtroppo il problema logistico per i piccoli produttori rimane; chi a Marsala produce delle ottime rape avrà sicuramente la difficoltà oggettiva di farle arrivare al mercato di Milano. Oltre al problema logistico, c’è poi quello della libertà dei piccoli produttori. Libertà di lavorare con costi di gestione accettabili e prima ancora senza essere oggetto di soprusi, minacce ed intimidazioni. Viviamo in un paese dove queste condizioni sono ancora molto frequenti.
La mia idea sul pesce di allevamento
Probabilmente il pesce di allevamento è sempre stato considerato un pesce di serie B. Tuttavia, accanto a prodotti discutibili, oggi ci sono allevamenti ittici molto scrupolosi che fanno degli ottimi prodotti (dal costo non trascurabile peraltro). Quello che spiace è che il settore dell’allevamento in Italia, soprattutto dei prodotti ittici, sia largamente insufficiente a soddisfare la domanda.
Viviamo in una penisola bagnata dal mare in tre direzioni dove la qualità dell’acqua è migliore che in molti altri paesi. Nonostante questo la maggior parte del prodotto ittico consumato è pesce d’importazione sia pescato che di allevamento. L’allevamento dei prodotti ittici in Italia dovrebbe essere una risorsa economica di rilievo. Per ora siamo molto lontani.

Considerazioni finali
Per concludere, il concetto di responsabilità è molto ampio. Ciascuno vi può cogliere aspetti diversi e a volte si ha una visione poco chiara di quale comportamento sia eticamente più corretto. Tuttavia, ciò che si inizia a percepire, è che non possiamo più permetterci di seguire solo la logica del portafoglio o della pancia. Spero che questo e molto altro verrà sviscerato nel congresso di Identità Golose 2020 senza ipocrisie, senza veli e con l’onestà di mettersi allo scoperto. Intanto ho messo un pò di ingredienti sul tavolo, confido che qualcun’altro abbia il desiderio di fare lo stesso.
3 Comments
ปั้มไลค์
Like!! Great article post.Really thank you! Really Cool.
my explanation
I couldn’t refrain from commenting. Very well written!
steelinkitchen
Thank you so much! Which part do you share the most? If you want to express your thoughts, feel free to do so! Thanks for reading our article and for your kind comment!